da Repubblica.it – ROMA – Trentacinque anni di politica economica statunitense da buttare via: parola di uno di quelli che, in parte, l’ha fatta – e che potrebbe continuare a farla, al seguito della candidata Hillary Rodham Clinton. L’autore della provocazione è il Nobel Joseph E. Stiglitz, che ha appena presentato al Roosevelt Institute di Washington, di cui fa parte, un mega rapporto dal titolo “Riscrivere le regole dell’economia americana: un’agenda per la crescita e la prosperità condivisa”.
Folla in sala e molti nomi di spicco fra i partecipanti, inclusi il sindaco di New York Bill de Blasio e la senatrice ed economista democratica Elizabeth Warren (la persona che vorrebbe, ad esempio, la reintroduzione della legge che impedisce ogni contatto fra banche d’affari e banche di risparmio, per evitare l’uso speculativo dei depositi dei correntisti). L’interesse generale sta nel fatto che le proposte del rapporto Stiglitz, che negli anni Novanta ha anche lavorato nell’amministrazione Clinton come presidente dei consulenti economici, potrebbero diventare parte del programma della candidata Hillary in campagna elettorale. O perlomeno, sono quel che la sinistra democratica vuole da lei.
Centoquindici pagine per dire, come ha spiegato Stiglitz nella sua introduzione in sala, trasmessa online: “Abbiamo sbagliato. Credevamo che abbassare le tasse, levare delle regole, liberasse il potenziale dell’economia. Non è così che va: così crescono le disuguaglianze e non ci sono affatto i benefici per tutti che si ipotizzavano. L’economia ha rallentato invece di crescere, e non ha aiutato nessuno. L’ineguaglianza è cresciuta molto, il 91% della ricchezza va all’1% delle persone e i redditi della classe media sono in stagnazione da anni”.
“Non è solo un problema di redistribuzione a valle”, spiega l’economista, che in passato ha anche appoggiato Occupy Wall Street: “Riscrivere le regole della nostra economia di mercato ridurrebbe le ineguaglianze già a livello di redditi percepiti”. Le proposte includono un aumento delle tasse sugli utili dei capitali, su chi ha redditi alti e sulle aziende che lavorano a livello internazionale. Prevista anche una forte spinta perché le aziende smettano di guardare solo al guadagno trimestrale. Come ha spiegato lui stesso nella conferenza online, per Stiglitz si tratta di modificare l’intero assetto di regole del mondo del lavoro come di quello delle istituzioni, spingendo per la partecipazione dei lavoratori, combattendo i monopoli – e cercando di cambiare il meccanismo del settore finanziario che lo vuole perennemente focalizzato sui guadagni in tempi brevi, quindi privo d’interesse negli investimenti duraturi.
Fra le 37 raccomandazioni elencate, molte riguardano l’ingresso dello Stato: partecipazione pubblica nella salute, con Medicare esteso a tutti, aiuti per i mutui, le pensioni, per i finanziamenti elettorali. C’è l’asilo garantito, sussidi per l’infanzia e assenze per malattia o famiglia retribuite. C’è molto di quanto finora la politica economica negli Stati Uniti ha avversato. Nella sua introduzione, Stiglitz ha sottolineato anche questo: “Noi americani”, ha detto, “abbiamo creato più disuguaglianze di altri”. E in un’intervista riportata dal New York Times, già ieri l’economista precisava che non stava criticando solo le politiche dei repubblicani, ma anche quelle dell’amministrazione Clinton. “Io ero lì quando si prendevano delle decisioni, e alcune venivano anche prese in buona fede. Ma ora ecco dove siamo arrivati”.
“Questo rapporto”, ha concluso il Nobel, “non è una proposta di legge, è l’inizio di una discussione: noi speriamo che faccia partire un dibattito a livello nazionale, che poi ci permetta di trovare una nuova strada”.